Press ZERO BRANE

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Luigi Onori on A proposito di Jazz

Otto titoli che fluiscono, ampie zone improvvisate, geometrie impreviste, composizioni timbriche inusuali. Il lavoro del chitarrista-leader e compositore (solo un brano è di Bill Evans, “Twelve Tone Tune Two”) si offre come un insieme organico e – oltre alla fascinazione dell’ascolto – ci sono motivi precisi. Intanto un tempo di elaborazione di tre anni in cui il ventiquattrenne jazzista potentino ha studiato fisica, in particolare sia la teoria delle stringhe che la più recente M-Theory, cercando di applicarla in ambito musicale. Così la “Zero Brane” (che dà il titolo al Cd) è un concetto matematico che indica una realtà priva di dimensioni, la “Symmetries of the Universe” fa riferimento al concetto della Supersimmetria del cosmo, “Antimateria” è una partitura interamente scritta che i musicisti, però, interpretano liberamente. Matteo Tundo ha, in effetti, cercato e trovato dei partner ideali in questa sua ardua quanto riuscita operazione: Emanuele Parrini (violino, viola); Piero Bittolo Bon (sax alto clarinetto); Simone Graziano (Fender Rhodes), Matteo Giglioni (batteria) ed Alessio Riccio (elettronica), il più titolato di questo gruppo di avanguardisti. In “Moonog” si lavora sul principio dell’inferenza (usare <>); in “Idea” e “Thinking Mond” è il funzionamento dei circuiti cerebrali ad ispirare Tundo. Nella sua originalità “Zero Brane” è un cd che mostra una via diversa al jazz contemporaneo e lo proietta audacemente verso l’Universo (come da molti anni fa Steve Coleman).

Stefano Dentice on Sound Contest

Paesaggi sonori visionari e ambientazioni enigmatiche che si avviluppano attorno a una cervellotica ricerca tesa all’imprevedibilità. “Zero Brane”, la nuova creazione discografica dello stravagante chitarrista e compositore Matteo Tundo, si fonda su elementi che ammiccano manifestamente all’innovazione jazzistica. Piero Bittolo Bon (sax alto e clarinetto), Emanuele Parrini (violino e viola), Simone Graziano (Fender Rhodes), Matteo Giglioni (batteria) e Alessio Riccio (elettronica) sono i suoi preziosi compagni d’avventura. All’interno del cd figurano otto brani, di cui sette sono composizioni originali a cura del leader, mentre Twelve Tone Tune Two è un brano autografato dal leggendario Bill Evans. Moonog è una composizione dal mood inquietante. Parrini intesse linee lancinanti, sfruttando magistralmente il registro sovracuto. L’eloquio sassofonistico di Bittolo Bon è di chiara derivazione free, sostenuto dalla pulsazione ritmica policroma, organica e decisamente efficace di Giglioni. In Idea Piero Bittolo Bon ed Emanuele Parrini dialogano serratamente esprimendosi con veemenza. “Zero Brane” è pura espressione di iconoclastia jazzistica, in cui la banalità è tassativamente bandita.

John Book on This is Book’s Music

The music on Matteo Tundo’s Zero Brane (Aut) isn’t what I would call free jazz but it could easily be called free form, if not leading to free form tendencies. Someone who is more in tune will say “this isn’t exactly free form” but let me explain before I started getting into a self-debate over what this music is.

Tundo is the guitarist within the band that features not only a traditional jazz group (whatever “traditional” may mean to you) but there’s also an occasional electronic vibe to it to, or at least someone named Alessio Riccio is credited with just “electronics”. He may be the Brian Eno of the function for all I know but while some of the music played on the album is free form, where things aren’t always as predictable as you want to assume, there is form and structure in each song. It’s not loose or an anything goes adventure but what Tundo and friends do is pull you into their scope and try to lure you with each movement, enhancement, and sound to make you stay on for their voyage. Traditional jazz this is not although that traditional side does pop up occasionally. It is an interesting listen but one that will make you want to hear this continuously and hear new things with each play.

Ettore Garzia on Percorsi Musicali

E’ sulla base della M-Theory che si costruisce anche l’esordio (anche qui dalle nicchie italiane in terra germanica della Aut R.) del chitarrista potentino Matteo Tundo; gli studi della fisica in merito alle parcellizzazioni infinitamente piccole ed invisibili dell’Universo è da parecchio tempo un argomento di estremo interesse, utile per dare delle risposte che si conciliano con le teorie già verificate; per questo fascino, ovviamente, anche i musicisti più intelligenti mostrano attrazione. Tundo trasmigra il senso matematico o comunque dell’equazione/relazione tra elementi, appoggiandosi alle capacità cognitive della musica di cogliere i fenomeni alchemici: sulla scorta di un chiaro pensiero subliminale, il validissimo progetto del chitarrista è alla ricerca di sonorità equivalenti che possano indicare da una parte una complessità (fattore che viene pescato nella musica contemporanea) e dall’altra un tenore narrativo (tramite le proprietà dell’improvvisazione); in Zero Brane l’avvicinamento tra strutture jazzistiche e complessità viene effettuato assegnando un preciso compito emozionale ai musicisti che coadiuvano Tundo: in un prodotto che chiama a raccolta forze unificatrici, asimmetrie biologiche e plurimi mondi dimensionali musicisti come Bittolo Bon, Parrini, Riccio (all’elettronica) o Graziano (al fender rhodes) sono tasselli voluti e ricercati per elaborare un jazz progressista che non si trova in giro in nessun modo e suggella una sintonia dei partecipanti quasi naturale con le proposte avanzate di Tundo. Ecco perché, nel tenore da laboratorio che in Zero Brane si percepisce sin dal primo istante, tutti possono raggiungere vette strumentali che, per chi non si formalizza sul significato letterale del termine novità, seguono spessori da terza scuola di Darmstadt applicata al jazz.

Ida Diana Marinelli on Visioni Sonore

Matteo Tundo classe 1992. Nasce a Potenza, frequenta il liceo classico, si avvicina alla musica e alla chitarra, intraprende gli studi al Conservatorio di Potenza, studiando anche chitarra jazz e composizione. Segue varie Master-Class e suona in vari gruppi e formazioni musicali: Cryptical, Smooth Streets Project, Mamagriot, Bucolic Party, Maurizio Gambardella, Serial Experiments, Antonio Nicola Bruno Magic Sound.

Nel 2014 poi finalmente si dedica al suo primo lavoro discografico Zero Brane per l’etichetta Aut Records. Primo album al quale hanno collaborato Simone Graziano, Emanuele Parrini, Matteo Giglioni, Piero Bittolo Bon, Alessio Riccio e che conta ben otto brani di Avant-Jazz.

Devo dire la verità. Questo è un lavoro complesso sia da ascoltare che da immagazzinare. Il che non è affatto una cosa negativa, anzi ben vengano lavori come questo che smorzano il piattume musicale che sta travolgendo il mondo della musica soprattutto dei più giovani.

Tutto parte dalla fisica teorica che attraversa realtà immaginarie per arrivare alla teoria dei mondi paralleli. Leggendo questi concetti si può arrivare a capire la musica di Matteo Tundo che è tanto astratta quanto concreta in un mondo che sta in definitiva perdendo i punti di riferimento più importanti.

Ogni brano è un mondo complicato dove dentro troviamo concetti musicali che sembrano appartenere al nostro tempo ma che in realtà poi si trasformano in altro, in cui i materiali musicali appaiono in diverse forme, modificate e mascherate.

Se gli scienziati dovessero intraprendere un viaggio attraverso gli altri universi sicuramente questa sarebbe la colonna sonora adatta. Quindi non mi resta che augurare buon viaggio a Matteo e a chi viaggia in qualsiasi senso.

Alberto Bazzurro on L’isola che non c’era

E chiudiamo con un album in sestetto, Zero Brane (AUT) del debuttante chitarrista potentino (ma fiorentino d’adozione) Matteo Tundo, capace di coinvolgervi musicisti veramente notevoli quali il già incontrato Parrini, Piero Bittolo Bon, sax alto e clarinetto, e il tastierista Simone Graziano. Il risultato è un lavoro di tono neanche troppo dissimile dal precedente, forse solo lievemente meno definito circa la linea da seguire. Tundo ha del resto appena ventitre anni, e di certo tutta la stoffa per dire una sua parola nel panorama jazzistico nazionale. Non gli mancano originalità e idee, il che significa essere già a metà del guado.

Fabio Ciminiera on Jazz Convention

Dal punto di vista musicale, Zero Brane rappresenta un particolare combinazione tra jazz e rock progressive. Naturalmente va aggiunto subito – per non farsi risucchiare dal labirinto degli steccati tra i generi musicali – che il tutto viene filtrato dal senso prospettico portato dai quarant’anni che ormai ci dividono dalla pubblicazione di Red dei King Crimson e dei quasi cinquanta raggiunti dalla svolta elettrica di Miles Davis. Matteo Tundo costruisce un mondo musicale che verrebbe facile definire aggiungendo il prefisso “post” a qualunque aggettivo utilizzato: una vera e propria colonna sonora per un universo distopico, una ri-costruzione concepita attraverso incroci inconsueti di suoni elettronici con strumenti elettrici e acustici, ma anche attraverso la possibilità di mettere a confronto strutture e forme diverse tra loro.
La musica proposta da Matteo Tundo possiede, in senso traslato, una sorta di necessità espansiva, il bisogno di porre i propri punti di riferimento, mutuando e ridefinendo le chiavi espressive tipiche delle forme preesistenti. Una spola continua tra mondi differenti dove incontriamo, di quando in quando, elementi puntuali immediatamente riferibili alle loro matrici originarie, intersecati in mezzo a materiali profondamente trasformati o rielaborati. Nel gioco previsto dal chitarrista entra tutto: reminiscenze classiche e movimenti onirici, suggestioni cinematografiche e attitudine contemporanea. Oltre al jazz e al prog citati in apertura, le principali stelle polari del percorso tracciato dagli otto brani.
I riferimenti scientifici non si fermano al titolo del disco e del secondo brano. Zero Brane o zero-brane è la membrana di zero dimensioni nella M-Theory (dove la M starebbe per membrana). Nella scaletta trovano posto Simmetries of the Universe, Antimateria e Moonog, ma anche Thinking mind e Idea possono essere ricondotti allo stesso ambito. E, in effetti, Zero Brane riprende molti spunti tipici del concept album o una colonna sonora, come si diceva sopra.
Zero Brane si avvantaggia della presenza di musicisti in grado di interagire con le tante connessioni poste in essere da Matteo Tundo e, anzi, di rilanciare l’azione musicale verso altre direzioni espressive. In molti casi, sia nei loro dischi che nelle collaborazioni che li hanno visti protagonisti, Piero Bittolo Bon, Emanuele Parrini e Simone Graziano hanno già mostrato una dimensione onnivora e, soprattutto, curiosa. La line up della formazione presente in questo lavoro, senza l'”ancoraggio” del basso, permette di fluttuare in maniera non convenzionale sopra l'”orizzonte degli eventi” o, se si preferisce, di trovare soluzioni non consuete al sestetto: li costringe a una dialettica, li porta a “rinegoziare” i ruoli all’interno della formazione.
E in questo modo, per tornare al concetto di ri-costruzione visto prima, a cercare di evitare per quanto possibile i cliché e le soluzioni preconfezionate presenti nei riferimenti di partenza.

Ignazio Gulotta on Distorsioni

Matteo Tundo, giovane chitarrista potentino ventiquattrenne, ma di stanza a Firenze, pubblica il suo secondo disco a proprio nome, dopo “Acatalepsy” del 2014, per la tedesca Aut Records. La sua attività musicale si muove fra sperimentalismo, elettronica e improvvisazione e, come ben emerge da questo suo ultimo lavoro, dedicandosi anche alla composizione. Le sette tracce dell’album, l’ottava è la cover di Twelve Tone Tune Two di Bill Evans, denotano infatti, pur nell’apparente caos dell’improvvisazione, un’attenta e misurata costruzione dei brani. Accanto a Tundo alla chitarra ci sono: Emanuele Parrini al violino e viola, Piero Bittolo Bon al sax alto e al clarinetto, Alessio Riccio all’elettronica, Simone Graziano al Fender Rhodes e Matteo Giglioni alla batteria. «Ho scelto questo organico per riuscire a muovermi facilmente fra sonorità cameristiche e altre più elettroniche, cercando il giusto equilibrio tra loro. Ho cercato di dare spazio al sax e al violino come strumenti solisti, mentre il rhodes e la chitarra costruiscono le trame sonore; il mio obiettivo primario era evitare a ogni costo di produrre musica ‘chitarrisitica’». Obiettivo quest’ultimo pienamente raggiunto, la chitarra quasi si occulta o, meglio, si camuffa, tanto strani e inconsueti sono i suoni che ne escono che non sempre è facile individuarla. Ma anche l’obiettivo dell’equilibrio mi pare sostanzialmente ottenuto, ogni brano ha infatti una sua struttura e una sua atmosfera ben precisa e distinta e l’apporto dei singoli strumenti non è mai soverchiante sugli altri.

Il titolo “Zero Brane” rimanda a un concetto della fisica contemporanea elaborato nell’ ambito della teoria delle stringhe e della M-Theory, «indica una realtà priva di dimensioni, il più piccolo concetto matematico che la mente possa immaginare» (dal comunicato stampa). Questo può far pensare a un disco molto cerebrale, invece ci troviamo davanti a una musica, certo molto pensata, ma anche dal forte impatto emotivo e fisico che privilegia la creatività legata all’improvvisazione. In Moonog i suoni sembrano avvilupparsi tesi, spasmodici in un alternarsi di impennate e inabissamenti, mentre Zero Brane crea attraverso suoni elettronici profondi e spaziali un’atmosfera di inquieta attesa. Notevole in Idea il dialogo fra i vari strumenti in brevi improvvisazioni soliste; in Symmetries Of The Universe l’esercizio dell’improvvisazione si esplica in un sottile e nervoso arabesco sonoro nel quale le singole note prodotte dai vari strumenti sembrano rincorrersi nella complessa tessitura dell’ordito. Forse ci si sarà potuta fare un’idea da queste prime, difficili descrizioni del tipo di musica che vi troverete, il livello qualitativo rimane sempre alto, cambia il tono alternando momenti più riflessivi e meditativi ad altri più tesi e aggressivi, segnaliamo almeno la suggestiva inquietudine della conclusiva Antimateria, possibile colonna sonora di un universo post apocalisse. Merito di Tundo l’aver trovato il giusto equilibrio fra le regole della composizione e la libertà espressiva dell’improvvisazione.

Adriano Ghirardo on Mellophonium

Matteo Tundo, chitarrista potentino classe 1992, ha la stoffa del leader e lo dimostra con questa incisione pubblicata dalla Aut Records. Infatti riesce a guidare con sicurezza un ensemble composto da esperti musicisti quali Emanuele Parrini (violino e viola), Piero Bittolo Bon (sax alto e clarinetto), Simone Graziano (Fender Rhodes), Matteo Giglioni (batteria) ed Alessio Riccio (elettronica) in un ambito avant jazz. A differenza di molti colleghi Tundo non indugia sulla tecnica chitarristica ma utilizza lo strumento in maniera funzionale agli sviluppi musicali lasciando buona parte degli spazi solistici a sassofono e violino. Il free jazz storico, mescolato all’elettronica, segna le coordinate su cui si muove questo disco composto da sette brani originali e dalla riproposizione del brano seriale “Twelve tone tune” di Bill Evans. Dalle note di copertina si percepisce che la ricerca di Tundo non è solo musicale ma si basa sui principi della fisica ed il brano eponimo, oltre a “Antimateria” e “Symmetries of the universe”, sono chiari esempi di una musica che unisce passione e ponderazione scientifica. Non è musica facile ma il jazz prodotto dall’etichetta con sede a Berlino rifugge sia il neo bop che certo cocktail-jazz oggi di moda. Pare, talvolta, di ascoltare una musica assimilabile a quella recentemente prodotta da Tim Berne e, dato il successo del maestro in questione, lo consideriamo di buon auspicio per la carriera di un nuovo talento della musica nostrana.

Antonia Tessitore on Battiti

A radio podcast featuring two tracks from “Zero Brane”.

Taran Singh on Taran’s Free Jazz Hour

A radio podcast featuring one track from “Zero Brane”.

Editorial on La luna di Alfonso

Ispirandosi ai princìpi della fisica delle particelle e all’ambito musicale contemporaneo più incline alla ricerca sonora, all’impro e alla scrittura in parte aleatoria, Matteo Tundo esordisce con un progetto da leader nel quale privilegia e cura più l’aspetto compositivo, che il lato dello sfoggio strumentale.

Momenti corposi dal punto di vista dell’intensità ritmica e sonora si ritrovano in Moonog, Idea, Thinking Mind, dove le impro sono alternate a brevi e angolose linee tematiche (posto che si possano definire tali) che ricordano il primo Tim Berne, a sua volta all’epoca debitore delle pagine meglio riuscite di Julius Hemphill. Particolarmente ben riuscito l’ultimo della terna, con l’iniziale lavoro a sprazzi del rhodes supportato dalla batteria, e i pochi momenti più evidenti di chitarra che fanno da prologo ad una potente conclusione.

Altrove si esplora invece il suono quasi dall’interno, come nel bordone che apre e fa evolvere con lentezza la title track, o nell’incipit di Owls and Mistakes, dove è determinante l’impasto liquido del fender con la scura sonorità della viola, con fasi che a tratti sfiorano la consonanza. Nella seconda parte del brano la trama diviene alquanto sfilacciata, prima di ritrovare se stessa in un ostinato finale.

Bifronte anche la non-swingante versione dell’evansiano TTTT, che parte assorta e stralunata, distendendo i suoni, poi gradualmente si infittisce in uno sviluppo serrato e termina con echi a rincorrersi.

Infine Antimateria, che manifesta la sua introversione e conclude il tutto, alla fine del suo svolgersi, con pochi secondi di puro elettrico rumore, quasi a segnare un punto di non ritorno, o non superabile, chissà….

Un capitolo primo senz’altro non banale. Interessante e neurostimolante.

Editorial on Ricerche Musicali

Ogni tanto ci si dimentica delle cose essenziali.
Si è in cerca del risultato facile, della scappatoia, dell’ultima tendenza.
RM è nata così: 2 amici che, chiamandosi al telefono, hanno deciso di spendere parte del loro tempo per la promozione della musica emergente e/o sperimentale.
Molti hanno appoggiato la nostra causa e possiamo solo che ringraziare.
In questo istante Zero Brane risuona nella nostra amplificazione facendoci ricordare quanto sia bello e faticoso spendersi per la musica originale e sperimentale. Vissute insieme (“originale e sperimentale”, mica è scontato), in un unico lavoro.
Significa spesso andar controcorrente a tutti i costi, dover sempre giustificare le proprie mosse.
Cercare un’idea di “bellezza” non immediatamente accessibile…

L’idea di bellezza ricercata dal chitarrista Matteo Tundo passa per diverse strade, non sempre convergenti.
C’è l’improvvisazione “libera” (senza modello di riferimento), la stratificazione ritmica, la composizione dodecafonica.
Il disco è convincente e portatore di una grande verità: il chitarrista sta ricercando, in continuazione.
Qui può annidarsi un piccolo pericolo: a volte la ricerca rischia di diventare “esercizio di stile” se non calata nella contemporaneità del linguaggio, dei messaggi e dell’esigenza espressiva dell’utenza di oggi.
L’ascoltatore di solito si trova in difficoltà nei confronti della frammentarietà dell’esperienza d’ascolto e non si può biasimare. Troppo spesso, tra i prodotti di musica originale, si ascolta musica idiosincratica: questo non può essere tollerato
Una via d’uscita: la letterarietà potrebbe permettere ad un magnifico prodotto di ricerca, e dall’indubbio valore artistico, di elevarsi al grado di “messaggio”; mantenendo la propria complessità, ma perdendo la complicatezza che ne impediva la comunicazione.
Facciamo un esempio: l’idea di produrre dei concept album ha permesso ai grandi gruppi del prog rock di portare l’esperienza dell’avanguardia e della sperimentazione anche al grande pubblico. Di comunicare.
Necessitiamo di musicisti colti, studiosi, attenti e ricettivi. Mai banali, ma, allo stesso tempo, mai senza una tradizione di riferimento.
Non ci serve più il citazionismo da “nerd”. Basta!
Questa è la sfida per il nostro futuro.
Non è né semplice né, tantomeno, noi abbiamo risposte certe.
Zero Brane nella sua autenticità ci ha ricordato chi siamo. E’ già molto per quanto ci riguarda. Anzi, è essenziale.
Per questo li ringraziamo.

Interview on Neu Guitars

Q: When did you start to play guitar and why? What did you study and what’s your musical background? With that guitar do you play and with what you played?

A: I started playing the guitar at age 14. I listened to rock and metal and electric guitar was the emblem of these genres; I started like most players, I think. I was initially a self-taught then, little by little, I started to feel the need to know more. At 17, I started attending a private school in Potenza to prepare for the entrance’s exam at the Conservatory for the classical guitar’s corse.
Parallel to these classical studies at the conservatory I continued to attend private lessons and I was introduced to the world of jazz. In the course of a year, my interest has shifted in that direction, so I decided to go to Florence and to subscribe to the three years of jazz guitar at the Conservatory, I graduated in this discipline last year and now I am attending the biennium Music and New Technologies.
The guitar that I use the most is a Dean Palomino, a semi-acoustic truly amazing, which in my opinion has nothing to envy to the most famous guitars from much higher price. I used an Ibanez Joe Satriani, a Taylor acoustic, classical Ramirez and many others; My first guitar was an Eko Stratocaster model which, thanks to the help of my father, years later I removed all the keys to make it a fretless … it didn’t work.

Q: How was born the idea for your latest CD “Zero Brane”?
Why did you choose not to bet on a “guitar” production, but on a more .. “chambered” one?

A: The idea of Zero Brane stems mostly from my purely amateur passion for physics. I’m interested above all to string theory and its derivations, which I consider the absolute elegance. Moreover, I found the connections between the music and the theory, since a key part of that is the different mode of vibration of the strings. I started to think, therefore, set to music parts of this theory and propose sound abstraction of some of his concepts; I really enjoyed myself there. Going on with this musical studies I realized also that I don’t care about the virtuoso aspect of the instrument and hate records where the leader should stand at any cost. I am only interested in the sound aspect, work on sound and sound. This is only possible by focusing more compositional appearance. With a formation of six elements I wanted to obtain a sound chamber able to move between more raw sound to other more ethereal one.

Q: Tell us about your traveling companions: Emanuele Parrini (violin, viola), Piero Bittolo Bon (alto sax, clarinet), Simone Graziano (Fender Rhodes), Matthew Giglioni (drums), Alessio Riccio (electronics) .. how did start your collaboration?

A: Simultaneously at the Conservatory I also attended one year at Siena Jazz where I met Simone, who was my teacher in complementary piano. When I decided to leave Siena Jazz I wanted to continue his studies with Simon because I felt that he could give me so much, especially for the compositional aspect, so we started a journey. He introduced me to many musicians, including those who play on my record. They are all great players and I’m really glad to have the opportunity to work with them. I think it has a lot of importance also the human aspect, and with them I always found it very well; you can laugh, joke around, but also be serious.

Q: What were and are your main musical influences? How do you express your “musical form”
is under execution that improvisation, whether you’re playing “solo” both with other musicians? Draw up a “form” default making adjustments when necessary, or you let the “form” itself to emerge in different situations, or exploit both creative approaches?

A: Zero Brane had a long period of gestation, nearly three years. The musical influences that have characterized the tracks are many and different. For some there is a clear reference to a kind of avant-jazz I listened to a lot a few years ago, in particular Tim Berne and Steve Lehman’s records. The most abstract pieces were designed later, during periods when I started listening to a lot of electroacoustic and contemporary music.
“Form” is one of the most serious problems in the composition; I have worked before in the field of micro-shaped, and the care of the stamps and the interaction between the instruments. Then in the macro-form, which also includes the order of tracks on the disc. For tracks that have a very defined structure I try to let the forms emerge alone in improvised parts; while in the more abstract songs and that are based on free improvisation I want them to create the structure from conceptual ideas or geometric shapes.

Q: How much important is improvisation in your music research? Can we go back to talking of improvisation in a repertoire so encoded as the classic or you’re forced to leave and turn to other repertoires, jazz, contemporary, etc.?

A: The book by Derek Bailey Improvisation analyzes good many cases of improvisation in different music with really interesting interviews. Improvisation has always been present in the music, folk music is imbued with improvisation, see the Indian and flamenco, but also baroque music. Improvisation exists in every field of music, even the interpretation of a classic song can be considered a form of improvisation.
What interests me is mostly the non-idiomatic improvisation, and one that does not refer to any existing genre, and using it in a musical or conceptual framework. Also with regard to the scope of improvisation, I believe that more importance should be given to the “sound” as such.

Q: How does your music methodology is influence from the community of people (musicians or not) you work with? Do you change your approach in relation to the one who directly or indirectly receive from them? If you listen to a different interpretation of a song you already played and you want to perform it do you take care of this listening or do you prefer to proceed in complete independence?

A: Inevitable and essential is that the music that is produced is influenced by human relationships, and I think it’s a wonderful thing. It is precisely what underlies the
concept of improvisation in my opinion: to be a transistor, a repeater of all the acquired information, and that each meeting or small change mute your way of thinking, playing and composing. Hearing many versions of the same track definitely helps to create their own personal version; more information is obtained from other more you are able to give of their own.

Q: I sometimes feel that in our time the history of the music flow with no particular interest in its chronological course, in our disco-music library before and after,
the past and the future become interchangeable elements, could be this the risk for an interpreter and a composer of a uniform vision? A music “globalization”?

A: I believe that making music is absolutely necessary to have a very strong historical
consciousness, understand that the era we are living, and above all why. To understand and experience the contemporary, forward-looking, you need a study of the past, not only from a musical point of view, but also historical and social. Regarding this issue I really admire the idea of Luigi Nono that his reading concluded “historical presence in the music of today” in Darmstadt in 1959 with these words: “Music will always be a historical presence, a witness of the men who consciously face the historical process, and that in every moment of the process decided in full clarity of their intuition and logic of their conscience and act to open new opportunities vital to the need for new facilities. Art lives and will continue to do its job. And there is still much work to be done and wonderful. “

Q: Can you tell us five discs essential tips for you, you always have with you .. the classic five discs for the desert island …?

Probably I prefer to bring books on a desert island, but in any case …

Autechre – Exai
Morton Feldman – For
Bunita Marcus
Bernard Parmegiani – La creation du Monde
Tyshawn
Sorey – Alloy
Anna Thorvaldsdottir – Aerial

And if I can add one more …
Luigi Nono – Fragmente-Stille, an Diotima

Q: Who would you like to play and with who would you like to play? What music do you listen to usually?

I would love to play with Tyshawn Sorey, an amazing drummer, but also a brilliant composer; I think is one of the few who really has found the right chemistry between improvisation and composition. Also last year I started to study by Luciano Berio Sequenza XI for guitar and I’d like to finish it; same goes for Algo Franco Donatoni.
I usually listen to contemporary music, electroacoustic and non-idiomatic improvisation.

Q: What are your next projects? What are you working on?

I want to focus on the composition and research in acoustic / musical field. Lately I’m
working on a piece for oboe, piano and electronics, but it will still take a long time to carry it out. Also I hope to conclude this year an electroacoustic music I’m working hard for several months. They
are completely turned towards the continuous search for possibilities. I am convinced that the research is even more important than the finding.

Ludovica Avetrani on Nucleo -Artzine

Con Zero Brane Matteo Tundo – e l’ensemble di artisti chiamati per costituire il progetto assieme al giovane chitarrista, Emanuele Parrini al violino, Piero Bittolo Bon al sax e clarinetto, Simone Graziano al fender rhodes, Matteo Giglioni alla batteria e Alessio Riccio al parte di electronics – ci accompagna attraverso la ricerca di un’atmosfera di contemplazione siderale.

Un messaggio dallo spazio sembra essere captato dai radar e ritrasmesso, un racconto uditivo che ci porta la storia di un altro luogo che, nonostante l’ipotetica distanza di molti parsec dal nostro Sistema Solare, sembra condividere lo stesso percorso evolutivo della nostra galassia. Zero Brane è un viaggio cosmico attraverso il suono, una sperimentazione dalle tematiche futuribili che permette un viaggio interstellare e straniante a chiunque possa farne esperienza.

Il lavoro si apre con Moonog, una passeggiata psichedelica su una luna dai colori fluorescenti – intrigante il titolo, che sembra unire la parola inglese per dire luna, moon appunto, e contemporaneamente strizzare l’occhio ai celebri sintetizzatori di marca Moog. L’unione delle sonorità crea un caos cosmico, quello necessario alla formazione dell’universo, e lo cristallizza proprio nel momento della prima reazione che scatenerà il big bang. Un trip allucinogeno – che riporta alla memoria il folle volo di Starless and bible black dei King Crimson – ci conduce al secondo brano del disco, che condivide il titolo con quello dell’album, Zero brane appunto, il quale sintetizza l’atmosfera del disco, riportandoci ad una condizione della creazione della vita tendente allo zero. Sullo sfondo un ronzio è il fluire dell’acqua, che tesse l’idea di un racconto, ovvero la formazione del sostrato terrestre di questo luogo lontano, fratello della terra ma diametralmente opposto sul piano cosmico. E’ il terzo brano a mettere in scena lo scontrarsi delle masse, il fluire delle colate laviche capaci di creare l’involucro di questo pianeta così simile alla terra. E’ con Symmetries of the universe che si mette luce sull’incontro di queste due formazioni, sullo specchiarsi vicendevole di questi due universi: vi è nel loro riflesso condiviso un’inquietante similitudine che però fa percepire qualcosa di diverso. E’ percepita un’uguaglianza fra i due, ma qualcosa stona e disturba, deve esserci un inganno. I dialoghi fra strumenti solisti sono ricchi e complessi, non sembrano parlare la stessa lingua, si inseguono nella ricerca di comprensibilità. Il quinto pezzo, Owls and Mistakes, è un’invocazione espressiva sospesa nel buio. Su una base malinconica si susseguono le improvvisazioni dei musicisti, in particolare il solitario desiderio del violino di creare un suo monologo ad un astro che riluce nella notte più nera. Il canto di un essere inquieto che non può nulla in confronto alla totalità dell’universo, fredda e spesso indifferente al dolore del singolo, che si richiude in una spirale discendente dentro l’animo. Il senso di inadeguatezza del finale della quinta traccia è perfetto per l’introduzione spaesata e malinconica della sesta, una sospensione che deriva dallo smarrimento. E’ con Thinking Mind che si conclude questa “trilogia dello spaesamento”, una suite interiore contenuta nella più grande cornice di suite-viaggio cosmico e che sembra voler nobilitare l’indipendenza creatrice dell’animo solitario. Il viaggio si conclude, Antimateria ci riporta nell’universo, e così tornano a riecheggiare suoni lontani ed alieni, persi nello spazio e captati debolmente: l’inquietudine circonda l’universo.

La ricercatezza del suono dell’ensemble è avulsa dal bisogno di creare pura melodia per le orecchie: i musicisti guidati da Matteo Tundo cercano di evocare le vere protagoniste di questo lavoro, ovvero suggestioni, visioni di spazi illimitati, invocazioni fatte nel buio. Il viaggio è assicurato.

Giuliano Manzo on Frastuoni

Il chitarrista Matteo Tundo, ancorché giovanissimo, dimostra in questo suo primo lavoro, pubblicato a fine 2015 per la berlinese Aut Records, una conoscenza e un approccio alla sua (anti)materia musicale di cui tratta l’album davvero notevole e di riguardo. Nel comporre Zero Brane e approdare alla sua “realtà senza dimensioni” l’autore si è basato, come lui stesso tiene ad informarci, su alcuni concetti di fisica e più miratamente allo studio della “teoria delle stringhe”, in un percorso artistico di circa tre anni.

L’album esplora vari registri compositivi, si spinge in diversi territori, dall’elettronica al free jazz tout court, come accade più compiutamente in Owls And Mistakes. Si apre con la crimsoniana Moonog, prosegue con l’affascinante e oscura elettronica, senza concessioni, del pezzo che da il titolo all’album tra echi del Davis dei ’70 più irriverente e ascetico, Idea, e sprazzi e tratti di avanguardia pura dal titolo inequivocabile, Symmetries Of The Universe. Nei trequartidora dell’album Matteo Tundo, accompagnato da Emanuele Parrini (viola, violino), Piero Bon (sax alto, clarinetto), Simone Graziano (fender rhodes), Matteo Giglioni (batteria) e Alessio Riccio (elettronica) allestisce, frame by frame, un corpo elettrico per nulla marginale, generato da un magma sonoro gestito nei suoi passaggi/paesaggi fatti di sinergie “concettuali”. Metodico ma al tempo stesso poco schematico, dando rilievo e risalto più a violino e sax che al suo strumento d’appartenenza che approderà a quella Antimateria, che rappresenta, anche ideologicamente, l’epilogo e la chiave di lettura dell’intera filosofia tundiana.

Zero Brane è sicuramente tra i risultati più concreti della odierna scena progressive/sperimentale italiana, con un orecchio rivolto ai frutti migliori dell’avanguardia compositiva europea degli anni ’70. Sarà interessante vedere come evolverà nel futuro lo stato artistico/compositivo della sua musica e soprattutto come sarà capace di investire il suo patrimonio creativo, sperando che non rimanga incastrato in certi “vizi” e cliché, ma si tratta di un pericolo nel quale il musicista potentino non credo corra il rischio di imbattersi, data l’intelligenza e l’acume dimostrati in questo suo primo ottimo concept album. Consigliato a tutti coloro che ancora serbano in animo e soffiano sul fuoco sacro dell’improvvisazione jazz free form.

Michele Manzotti on Il popolo del Blues

“La Zero Brane è una realta priva di dimensioni, il più piccolo concetto matematico che la mente possa immaginare, totalmente differente dalla realtà che viviamo quotidianamente”. Partendo da questo elemento il chitarrista e compositore Matteo Tundo ha sviluppato la sua idea di linguaggio musicale che parte dal jazz e va verso una sperimentazione complessa ma solo apparentemente caotica. Anzi la somma dei concetti e delle particelle musicali dà origine a un caos ordinato di cui si percepisce il senso sia dalla prima traccia Moonog. Ad affiancare Tundo sono Emanuele Parrini (violino, viola), Piero Bittolo Bon (al sax contralto e al clarinetto), Simone Graziano (Fender Rhodes), Massimo Giglioni (batteria) e Alessio Riccio all’elettronica. Atmosfere canterburiane e alla Sun Ra ma riviste con il gusto odierno. Oltre alla traccia titolo, apprezziamo particolarmente Symmetries of the Universe e la sua ritimica scomposta e ricomposta e Thinking Mind con il suo particolare uso delle cellule melodiche di base.

Carlo Boccadoro on Internazionale

Matteo Tundo, Zero brane (Aut Records)
Che musica compone e suona Matteo Tundo? E chi lo sa? Dalla sua chitarra escono suoni e texture che non si crederebbero possibili con una chitarra, così come dal sax di Piero Bittolo Bon arrivano fraseggi che schivano qualsiasi luogo comune sul suo strumento. La batteria di Matteo Giglioni è solida come il granito (e splendidamente registrata da Andrea Caprara, con un suono finalmente naturale e potente) eppure non fa mai del chiasso inutile né vuole mettersi in mostra come fanno troppi batteristi. L’elettronica di Alessio Riccio e gli strumenti ad arco (violino e viola) di Emanuele Parrini sovrappongono alla sezione ritmica e al Fender Rhodes di Simone Graziano ondate di colori sempre diversi, a volte aspri, a volte dolcissimi.

La scrittura di Tundo risente delle esperienze della scuola downtown newyorchese nell’appuntita fisionomia di temi come Moonog e Zero brane, si concede momenti maggiormente astratti (di stampo più europeo) in Symmetries of the universe e Antimateria, o rilegge con amore e intelligenza (quindi non imitandolo) un classico come Twelve tone tune two di Bill Evans, qui trasfigurato in una dimensione molto più sognante e rarefatta. Non è musica che conceda alcunché a ruffianerie o piacevolezze superficiali: in questo bellissimo album i musicisti scavano dentro il suono e ne estraggono pietre preziose che meritano il vostro tempo e la vostra attenzione. Un eccellente antidoto alla banalità che ha invaso troppi scaffali del jazz italiano. Ma questo poi è jazz? È improvvisazione pura? È musica contemporanea classica? E chi lo sa. Scopritelo da soli.

Joe on Hatena Blog (Japan)

今年2月に鮮烈な印象を残したエリック・ドルフィー・トリビュート作「Aut To Lunch!」をリリースしてくれた、Aut Records の新作で、Piero Bittolo Bon が参加。PBB 以外は全く知らない人たちだが、おそらくイタリアのミュージシャンたちであろう。ギター、フェンダーローズ、ドラム、エレクトロニクスによるサウンドの上を、PBB のサックスとクラリネット、そして何とヴァイオリンとヴィオラが舞う。PBB はどんな時だって輝かしいサックスの音で魅せてくれるが、エレクトリックとアコースティックのサウンドの配合の妙もなかなか楽しい。

そういえば、PBB は結局、今年の来日はできなかったようだ。

Eugenio Mirti on To Crash

Secondo lavoro solista del chitarrista Matteo Tundo dopo “Acatalepsy”del 2014, “Zero Brane” è un disco multiforme che miscela bene mondi sonori differenti: avant-garde, free, elettronica, jazz, rock. Un’ulteriore caratteristica del CD è la varietà timbrica legata alla formazione, con violino e sax/clarinetto che si contrappongono alle trame create da chitarra e rhodes, regalando spesso atmosfere originali e ingegnose. I brani sono tutti originali firmati dal chitarrista di Potenza, con l’eccezione di Twelve Tone Tune Two di Bill Evans, rivista qui in una versione particolarmente liquida ed eterea. Un disco particolarmente originale, che tocca i suoi momenti migliori quando i vari elementi stilistici convivono (grazie alla graffiante scrittura di Tundo e alle esecuzioni vibranti dell’ensemble) in armonia creando un insieme nuovo e imprevedibile, come ben si ascolta nell’apertura di Moonog.

Eugenio Mirti interview on Musictracks

Dopo un’attività intensa in numerose band, Matteo Tundo ha deciso di fare un passo avanti e di diventare bandleader con Zero Brane: registrato nel 2014 e uscito a ottobre 2015 per l’etichetta berlinese Aut Records, il lavoro segue l’autoproduzione Acatalepsy (Music Republic Production) del 2014. Otto tracce di avant-jazz (fatta eccezione per un pezzo di Bill Evans, Twelve Tone Tune Two), composte in 3 anni di lavoro, guardando anche alla M-Theory di Stephen Hawking e ad alcuni principi della fisica contemporanea: con “Zero Brane”, infatti, si indica una “realtà senza dimensioni”. Abbiamo intervistato Matteo Tundo.

“Zero Brane” nasce (anche) da concetti di fisica: puoi spiegare l’ispirazione che ti ha spinto?

Da qualche anno mi sono appassionato alla fisica, in particolare quella moderna, come la meccanica quantistica. Zero Brane è un concetto che deriva dalla Teoria delle Stringhe e la sua evoluzione M-Theory, sviluppata da Edward Witten. Trovo questa teoria incredibilmente affascinante ed elegante. Zero Brane simboleggia una realtà priva di dimensioni, dove tutte le nostre conoscenze teoriche vengono annullate.

A partire da questo concetto ho cercato poi di sviluppare delle strutture musicali che potessero descriverne alcune caratteristiche. Per esempio nel brano che dà il titolo al disco ho cercato di creare una tessitura sonora che sviluppasse dei battimenti acustici in movimento; mi sembrava un buon sistema per esprimere le caratteristiche di un’ipotetica Zero Brane. A spingermi in questa direzione per questo brano è stato anche l’ascolto di alcuni studi di Pietro Grossi proprio sui battimenti.
Come e perché hai scelto gli altri strumentisti che ti hanno accompagnato sul disco?
Innanzitutto mi interessava avere una formazione non scontata, per ottenere un suono originale e particolare; così ho subito deciso di non scrivere per contrabbasso o basso, in modo tale da evitare possibili suddivisioni tra ritmica e solisti. Questa scelta è forse dovuta anche agli ascolti che facevo in quel periodo, in particolare dei gruppi di Tim Berne.

I musicisti mi sono stati presentati da Simone Graziano, che è stato il mio maestro per un periodo e mi ha introdotto all’ascolto di questo tipo di jazz. Abbiamo provato moltissimo prima di registrare, per riuscire a ottenere un suono di gruppo interessante. In più mi sono trovato davvero molto bene con tutti loro; il rapporto umano è una caratteristica importante, che quando si incide un disco fa la differenza.

Perché hai scelto di proporre una vostra versione di “Twelve Tone Tune Two” di Bill Evans?

Perché mi interessa molto il rapporto della musica jazz con le avanguardie e con la musica contemporanea. I jazzisti sono sempre stati interessati a nuovi tipi di linguaggi e spesso molti se ne dimenticano. Charlie Parker desiderava moltissimo incontrare Edgard Varése ad esempio. Twelve Tone Tune Two è un brano che utilizza caratteristiche dodecafoniche, infatti le linee melodiche del tema sono delle serie. La dodecafonia viene qui utilizzata da Bill Evans non in modo integrale ovviamente, ma comunque testimonia un suo interesse verso linguaggi di tipo diverso da quello tipicamente jazz. Ho quindi utilizzato il materiale tematico scritto da Bill Evans come punto di partenza per un’improvvisazione, destrutturalizzando il suo brano.

“Zero Brane” è stato pubblicato qualche mese fa. Sei già al lavoro su qualcosa di nuovo? Puoi darci qualche anticipazione?
Ho diversi progetti in cantiere. Mi sto concentrando soprattutto sullo studio della musica elettronica ed elettroacustica e in particolare delle metodologie compositive inerenti a essa. Sto lavorando su un brano per oboe, pianoforte e live electronics, che mi richiederà però ancora molto tempo. In più vorrei riuscire a pubblicare nell’arco di un anno un disco di musica acusmatica al quale sto lavorando da qualche mese. Infine ho in mente di realizzare una strana performance per “schermitori e live electronics”, che spero di riuscire a mettere in piedi entro fine anno.

Alessandro Bertinetto on Kathodik

Matteo Tundo (chitarra) ci offre un album molto interessante (una sorta di concept album mi verrebbe da dire), messo su insieme a musicisti di valore: spiccano i fiati di Piero Bittolo Bon e gli archi di Emanuele Parrini. Si tratta di composizioni originali (eccetto Twelve Tone. Tune Two di Bill Evans), che alternano lo sprigionamento di un’intensa energia ad ampie estensioni meditative, mai però prive di suspence. A volte dopo inizi esitanti – come in Monog, in cui il violino vaga per un po’ in cerca delle sue note fino all’entrata decisa di batteria e basso e all’arrivo di sax e tastiere grazie a cui il gruppo si presenta al gran completo – si articolano con un’efficace decisione ritmica. Altre volte, come nella traccia che dà il titolo all’album (un titolo che riecheggia la teoria delle stringhe) la musica resta sospesa in un’attesa che dovrà aspettare la seguente Idea (questo il titolo del brano), per poter nuovamente decollare; oppure continua ad aleggiare free nell’universo sonoro (Symmetries of the Universe), o si esprime in una versione decostruita della composizione di Evans, o sfuma nel vuoto della fine (Antimateria). Un disco intenso, da ascoltare.

Lorenzo Allori on Radio Gas

Curioso caso di “fusion massimalista” questo Zero Brane, prima prova da leader del chitarrista Matteo Tundo. L’utilizzo di alcuni strumenti rimanda direttamente al primissimo (e migliore) periodo del jazz rock. Questo discorso vale per il violino elettrificato e soprattutto per il fender rhodes (vero strumento feticcio del jazz rock), suonato nello stile “liquido” tipico di Chick Corea dall’ottimo Simone Graziano. A scombinare le carte arrivano poi il leader, il batterista Matteo Giglioni e soprattutto i fiati. Qui è più facile parlare di free jazz o di qualcosa di molto similare. L’idolo di Piero Bittolo Bon è Eric Dolphy e questo lascia immaginare cosa aspettarsi. Nel mondo della critica jazz si sta parlando, per Zero Brane, di somiglianze marcate verso la musica di Evan Parker o di Dave Douglas, io preferisco immaginarmi Eric Dolphy che suona in Bitches Brew di Miles Davis, anche perché non vorrei perdermi lo spettacolo per niente al mondo. Questo è un album che riesce ad essere piacevole pur in presenza di innegabili momenti urticanti.

Flavio Massarutto on Alias

Risaliamo e troviamo il chitarrista potentino Matteo Tundo stabilitosi in Toscana dare vita insieme a Piero Bittolo Bon, Emanuele Parrini, Simone Graziano, Matteo Giglioni e Alessio Riccio a un disco notevole per coerenza e maturità. Partendo dalle teorie della fisica in Zero Brane (Aut), Tundo cerca di “non fare un disco chitarristico” e ci riesce. La sua è una musica brumosa, densa e sfuggente. Sempre in bilico tra controllo e trasporto. Un jazz elettroacustico intrigante dove si passa da situazioni concitate a improvvise dilatazioni, da strutture a libere improvvisazioni. Si percepisce un certo amore per il funk cubista alla M-Base e per l’approccio di Steve Coleman ma nulla di derivativo. Una scoperta piacevolissima.

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